Meno fertili, forse più umani
Lea Melandri


L'estate non è solo tempo di ferie, sospensione temporanea del lavoro, svago, divertimento, ma anche "vacanza" intesa nel senso etimologico di "vuoto", possibilità di sgombrare il campo da interessi, pensieri, occupazioni abituali, a favore di tutto ciò che fino a quel momento è rimasto nascosto nella vita personale. Nessuno si meraviglia perciò se a fare la loro sortita pubblica sono le vicende legate più direttamente al corpo: la sessualità, l'amore, la salute, le diete, la natalità, coppie famose che nascono o si sciolgono.
Non ultima a richiamare attenzione, sollecitare analisi e interrogativi è la relazione tra uomo e donna, di cui si scoprono con sorpresa i cambiamenti, buoni o allarmanti che siano. Purtroppo l'occasionalità, il fatto di essere trattata come un diversivo, come tale scollegato dalle condizioni materiali del nostro vivere quotidiano, impedisce ancora una volta che se colga la portata e la gravità.                                                                                                         

Penso in particolare all'intervista che il Corriere della sera (19.07.13) ha fatto a Umberto Veronesi sul cambiamento che sta interessando i ruoli del maschio e della femmina e le sue ricadute ormonali, cioè il calo della fertilità. Le argomentazioni di Veronesi mi sono sembrate chiare e ambigue al medesimo tempo, sicuramente interessanti tanto da non poter essere lasciate a una toccata e fuga estiva. Ciò che viene in evidenza è l'aspetto allarmante del fenomeno: la riduzione delle capacità riproduttive riguarda l'Occidente e, segnatamente, la popolazione maschile.
Tradotto in chiave di considerazione tradizionale dei generi, vuol dire una crisi della virilità conseguente, più ancora che allo stile di vita - sedentarietà, obesità, fattori cliamtici, ecc.-, al mutamento dei ruoli famigliari e sociali dell'uomo e della donna, al venir meno di quelle "differenze" che sono state per secoli il fondamento della divisione sessuale del lavoro: la cura dei figli alla donna, la responsabilità del sostentamento materiale della famiglia all'uomo.                                                                                      

Quando Veronesi parla di "parità", intesa come perdita della complementarità tra i sessi - e della forza attrattiva che porta con sè, sia sul piano biologico che sentimentale-, descrive di fatto solo uno scambio delle parti: gli uomini si fanno più teneri coi figli, le donne più aggressive nella corsa alle carriere, al protagonismo sociale. Gli stereotipi di genere restano in sostanza indiscussi nella deformante, violenta astrattezza che li ha caratterizzati storicamente, nei rapporti di potere su cui so fondavano. Cambia solo il modo in cui sono distribuiti: uomini più femminili, donne più mascoline.                                                    

Le aggiunte rassicuranti - che il nostro mondo è sovrappopolato e che la maggiore presenza delle donne nella vita pubblica è fonte di progresso, pace e giustizia- non sminuiscono l'effetto che sul piano emotivo e immaginario produce il ragionamento. Chi pensa che l'uomo occidentale stia perdendo le sue prerogative per effetto della rivalsa di potere da parte delle donne, trarrà sicuramente conferma dei suoi timori.
Sappiamo bene che non lascia indifferenti la metamorfosi del maschio cacciatore in figura domestica  -che "culla i figli"e cura la casa- e che per questo vede calare la sua potenza riproduttrice: "i testicoli si addormentano". E neppure quella della donna che "sviluppa aggressività", comanda, compete con gli uomini, sopporta ruoli "che soffocano la sua femminilità".                                                                                                 

Non meno allarmante suona il richiamo all'aumento dell'omosessualità e della bisessualità, come declino di quel rapporto eterosessuale modellato deterministicamente sulla riproduzione biologica e considerato tuttora fondamento "naturale" della famiglia.
Dovremmo chiederci perchè la civiltà dell'uomo, che si è accanita sulla natura tanto da credere di poterla duplicare e manipolare all'infinito, si mostra invece così restìa a riconoscere, nel cambiamento dei ruoli sessuali, un processo di umanizzazione, conquista di libertà da vincoloi naturali finora sconosciute per uomini e per donne. Più che di "crisi di spermatozoi" si dovrebbe perciò parlare di un'uscita dal determismo biologico che ha mantenuto fermo per secoli un dominio inspiegabilmente radicato nella vita intima degli esseri umani, e che solo oggi arriva alla coscienza in tutta la sua complessità.

 

16-08-2013

home